In una domenica uggiosa, il cinema è sempre una buona alternativa al divano di casa. Ho visto The Butler – Un magiordomo alla Casa Bianca, scritto e diretto da Lee Daniels, giovane autore e regista di colore americano. Premesso che solo il fatto di aver visto Jane Fonda interpretare per poco più di un minuto Nancy Raegan mi ha fatto venire il latte alle ginocchia (ma è un problema mio) sento che il resto del film non mi ha entusiasmato. Almeno non tanto da applaudire ai titoli di coda come molti di quelli che erano al cinema con me hanno fatto.
Sarà che da ragazzo mi sono entusiasmato nel vedere tutta la saga di Radici di Alex Haley nella neonata televisione a colori, apprezzandone profondità e dettaglio, tanto da andare a leggere pure pezzi del romanzo, ma il film in questione mi è sembrato piuttosto piatto e frettoloso. Più che una romanzo epocale una parata autocelebrativa del tempo di Obama.
Storia prevedibile, mentre scorrono gli eventi che porteranno gli Stati Uniti dallo schiavismo al suo primo presidente colored, all’interno di una famiglia si confrontano padre e figlio, entrambi eroi del loro tempo ma su fronti contrapposti. Catarsi finale con tanto di perdono taumaturgico intergenerazionale di tutti i peccati e riconciliazione omnicomprensiva.
Tutto fila liscio come l’olio a cominciare dalla parata degna del miglior All Star Game. Si comincia da Mariah Carey schiava nei campi di cotone della burbera quanto benefica Vanessa Redgrave, si prosegue con Robin Williams nella parte di Ike Eisenhower, Cuba Gooding Jr. e Lenny Kravitz come compagni magiordomi del protagonista Forrest Whitaker. Tutti in splendida forma e molti impegnati per il tempo di un cameo.
Menzione a parte merita Oprah Winfrey, attrice di media portata ma messa li a dare la sua benedizione al progetto del giovane regista, nella sua qualità di voce di riferimento degli afroamericani statunitansi.
Tutto qua, una bella messa cantata. Per carità: giusta, condivisibile, opportuna, doverosa, ma senza particolari emozioni. Se parliamo di film epocali sulla storia recente degli Stati Uniti preferisco di gran lunga il Forrest Gump di Robert Zemeckis. Se parliamo di tributi a grandi tragedie dell’umanità preferisco la Shindler’s List di Spielberg. Se parliamo dell’epopea dei neri d’america, ripeto, Radici è tre spanne sopra. Magari valeva la pena riprendere quel romanzo di cui esiste solo la riduzione televisiva in otto puntate del 78.
Inevitabili anche i paragoni con Forrest Gump per lo stile narrativo. Forrest batte Cecil uno a zero, in principio ho apprezzato il non usare scene di repertorio, cosa che venne benissimo a Zemeckis, ma, con il procedere del film questa scelta viene meno. Alla fine solo un rapido susseguirsi di eventi e presidenti senza particolari approfondimenti. Il film si risolve negli ultimi quindici minuti quando il buon magiordomo comprende che mentre lui era attento a servire a palazzo la comunità afroamericana aveva fatto le sue conquiste.
Nessun rapporto particolare tra il magiordomo ed i presidenti, da Ike a Barack, Jackie gli regala la cravatta che J.F.K. indossava a Dallas, intanto lui si adatta a lavorare sottopagato e sfruttato, rispetto ai colleghi bianchi della casa. L’orgoglio e la determinazione gli vengono giusto in zona Cesarini all’ultimo a tutto. Come pure in ultimo si rende conto che il figlio maggiore, il minore muore in Vietnam come da prassi senza particolari approfondimenti, era un eroe e non un terrorista rivoluzionario. In verità, avrei apprezzato molto di più la narrazione se fosse stata incentrata sul personaggio del figlio che, mentre combatte per l’emancipazione degli afroamericani, vede il padre vegetare all’ombra di sette presidenti.
Per curiosità sono andato a sbirciare la filmofrafia del giovane regista, ci ho trovato poco. Nel 2002 è produttore di L’ombra della vita, altra storia a sfondo raziale che vale il premio Oscar ad Halle Berry. Il resto delle note biografiche raccontano di uno che sicuramente non è nato nel ghetto.
Sia dunque lode al magiordomo della casa bianca, ma se ve lo perdete non eccedete in rammarico. Tre stellette su cinque e sono stato generoso.