Napoli S.p.a.

Oramai mi è chiaro. Credo sia chiaro anche a tutti quelli che seguono con un pochino d’attenzione le vicende che affollano la cronaca cittadina. E’ solo un giochino, un giochino brutto, un giochino anche sporco che ha come scopo il controllo il governo della città e come premio il libero accesso a tutte le opportunità che ne possono derivare.

PlebiscitoNel lontano 1956 il principe, nascosto dietro la sua maschera, ce lo ha spiegato per bene, illustrandoci la gestione che il ragioniere Casoria faceva del carbone che serviva a riscaldare gli abitanti del condominio sorvegliato dal semplice ed onesto portiere Antonio Bonocore.

Sono trascorsi 58 anni da quel film, abbiamo avuto il boom economico, gli anni di piombo, gli anni 80, manipulite ed il successivo ventennio berlusconiano, l’annessione dell’Europa alla Germania, l’avvento dei comici, i tecnici empatici, e chi più ne ha più ne metta. Non è cambiato nulla, non abbiamo imparato niente ed ancora una volta mi trovo smarrito alla ricerca del bandolo della matassa.

Facciamo finta, solo per un momento, che Napoli non sia una città ma una società per azioni. C’è un presidente, un amministratore delegato, un consiglio di amministrazione, tanti dirigenti ed il popolo degli azionisti che hanno investito i propri risparmi nell’azienda nella speranza di trarne un profitto. Bene, la Napoli S.p.a. è una azienda che produce fischietti in metallo, si dice che siano i migliori al mondo. Per farli bisogna acquistare del metallo, della plastica per fare la palline che ci girano all’interno, i cordoncini per appenderli al collo. Poi bisogna pagare gli artigiani che li costruiscono, i venditori che li vendono, quelli della pubblicità e quelli della ricerca e sviluppo per progettare fischietti sempre più belli e moderni.

Accade che per molti anni la Napoli S.p.a. viene amministrata sempre dalle stesse persone che rispondono tutte sempre al solito presidente. Accade anche che l’amministratore delegato è uno che la sa lunga e che vuol favorire, oltre che gli azionisti, anche gli interessi di altri amministratori delegati suoi amici. Accade dunque che si tolleri un piccolo sovraprezzo sul metallo, si comincia ad acquistare la plastica per le palline dal fornitore amico che la vende un pochino più cara del dovuto e di una qualità leggermente inferiore a quella necessaria. Anche i dipendenti vanno accontentati per cui ci si rivolge a qualche caporale di giornata per tenerli buoni e farli lavorare senza fare troppe domande. Assumere gli amici degli amici diventa in breve tempo prassi consolidata. In azienda cominciano ad esserci troppi interessi trasversali, tanti che, alla fine, la qualità dei fischietti comincia a risentirne.

Accade che con il passare del tempo i clienti incominciano a acquistare i fischietti cinesi che costano di meno e fischiano uguale. Solo i collezionisti restano affezionati ai vecchi fischietti della Napoli S.p.a. ed in breve tempo l’azienda è in rosso. Qualche tecnico tenta una qualche manovra di risanamento ma riesce solo a far debiti nuovi per pagare debiti vecchi. La crisi è inevitabile ed in breve frotte di dipendenti insoddisfatti iniziano ad assieparsi al di fuori dei cancelli dell’azienda arringati da i soliti caporali e da qualche membro del consiglio di amministrazione. Gli azionisti iniziano a vendere le loro azioni ed il valore del titolo in borsa precipita.

Accade che l’unica soluzione che appare praticabile agli azionisti è quella di andar tutti a bussare alla porta del presidente a chiedere soldi per ripianare i debiti e far ripartire l’azienda. La prima volta va bene, il presidente chiede di abbassare gli stipendi a tutti per sganciare un po’ di danari, la seconda pure. Questa volta il presidente chiede una politica di maggior rigore ed allora si decide che possono essere sacrificati tutti gli apprendisti e gli anziani che non reggono il ritmo della catena di montaggio. E’ un sacrificio doloroso ma necessario.

Cambiamo tante cose in azienda tranne l’amministratore delegato, il fornitore del metallo, quello della plastica per le palline e i caporali. La crisi, iniziano a dire in molti, è del sistema ed in breve ci si ritrova per la terza volta con il cappello tra le mani alla porta del presidente. Colpo di scena: il presidente è uscito e nessuno sa dove sia. I bene informati dicono che sia irrimediabilmente malato.

Accade dunque che il panico si impossessi di tutta l’azienda. L’amministratore delegato sparisce, qualcuno dice che sia riparato sulle dolomiti a curarsi gli acciacchi. Tutti i dipendenti sono allo sbando, le catene di montaggio sono ferme e gli approvvigionamenti di materie prime bloccati dai fornitori che reclamano il pagamento dei loro crediti. Del consiglio di amministrazione e dei dirigenti, neanche più l’ombra.

Accade che un bel giorno, da un lontano ufficio secondario della Napoli S.p.a. arrivi un oscuro ragioniere, noto a pochi per le sue doti di amministratore preciso e competente, antipatico ai più, che in qualche modo riesce ad arrivare alla stanza dei bottoni. Inizia a studiarsi la situazione e, tra lo scetticismo generale, inizia a dare qualche direttiva ai suoi collaboratori. Chiama a se tutti gli operai che ancora sono in azienda e gli dice di iniziare a fare fischietti come si faceva una volta usando le materie prime che sono in magazzino. Il passo successivo è congedarsi dai caporali di giornata e da tutti gli amici degli amici a cominciare dai fornitori che facevano la cresta sulle materie prime.

Accade che un bel giorno, una domenica mattina, sotto un beneaugurante sole primaverile il ragioniere spalanchi le porte dell’azienda ed inizi a vendere fischietti fatti a regola d’arte. Il ragioniere non è solo, con lui ci sono tanti operai ed impiegati che finalmente sono felici di lavorare in una bella fabbrica di fischietti. Per un po’ di tempo le cose vanno bene, le vendite si alzano e si comincia a vedere anche qualche investitore disposto a mettere qualche soldino nell’azienda.

Sembra il lieto fine di una favola ma non è così. Poco distante dai cancelli della Napoli S.p.a, in un garage di periferia i vecchi amministratori sono riuniti. Ci sono tutti, l’amministratore delegato, i suoi fidi dirigenti, i fornitori e, naturalmente, i caporali di giornata. Tutti sono molto arrabbiati perché sono fuori dalla fabbrica e non possono fare più i loro affari. La strategia da attuare è decisa in fretta: bisogna sporcare la notte per dire di giorno che la fabbrica è sporca, bisogna che il presidente faccia una nuova regola che impedisca agli operai di correre per poi lamentarsi che la produzione è lenta, bisogna farsi amici tutti quelli che danno le notizie per dire che fuori c’è brutto tempo e che è meglio non uscire di casa anche se il sole è alto nel cielo, bisogna contattare tutti i possibili clienti per dirgli che i fischietti della Napoli S.p.a. non suonano bene.

Come andrà a finire chiederete voi ? Non ne ho idea, rispondo io.

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Sta di fatto che quel che vi ho raccontato è, a mio parere, più o meno, quel che sta accadendo a Napoli. Da un lato ci sono quelli della Napoli S.p.a. dove S.p.a. non vuol dire società per azioni ma solo per amore e dall’altra quelli della Napoli S.p.a. solo per affare.

Solo per amore è una bella rivisitazione della sigla S.p.a. che non è mia, l’ho sentita dire per la prima volta un po’ di mesi fa da un uomo che mi piace assai e che, ancora a mio parere, sta facendo moltissimo per Napoli. Solo per affare è la naturale contrapposizione che mi viene in mente ogni volta che apro un giornale e leggo le cronache cittadine.

Dunque la domanda finale è: come la vogliamo fare questa città ? Per amore o per affare ?

Chiariamo subito un punto, per amore intendo controllare, prima di fare un passo in avanti, che nessuno sia rimasto indietro, pensare a quello che riceveranno da noi quelli che verranno dopo, avere un orizzonte lontano che vada ben oltre le nostre esistenze, pensare che se esiste una regola, la regola vale per tutti, se abitiamo in uno Stato, siamo tutti sotto lo stesso tetto e sotto la stessa legge.

Al contrario per affare intendo guardare al proprio uovo di oggi invece che alle galline di domani, significa avere sempre un amico che da qualche parte ti può fare un favore che per tutti gli altri diventa sopruso, significa lucrare su ogni opportunità, anche sulle difficoltà altrui, nascondendosi dietro ad improbabili paraventi ideologici.

E voi, in quale azienda state ?

La guerra che imperversa in città da mesi è proprio questa: amore contro affari. Ci riflettevo giusto ieri, all’indomani della notizia che le sezioni riunite della Corte dei Conti avevano accolto il ricorso dell’amministrazione comunale che difendeva a spada tratta il proprio piano di riequilibrio di bilancio. Preso atto del drammatico dissesto finanziario del Comune di Napoli, una neoeletta amministrazione decide di puntare alla sostenibilità, alla valorizzazione delle risorse, al contenimento degli sprechi, all’abolizione dei servizi esterni, alla valorizzazione di un patrimonio immobiliare da mettere in vendita senza fare i soliti saldi agli amici degli amici.

“No, scusate, questa cosa non va bene, a Napoli non si è mai fatto così” osserva ben presto qualcuno in uno dei palazzi degli affari. Dunque che i Conti regionali facciano opposizione e provino a fermare gli scellerati amministratori partenopei. Morale della favola: cinque mesi persi in chiacchiere inutili.

Stessa cosa con le sale da gioco che stavano invadendo la città alla faccia dei più piccoli e dei più deboli. Stessa cosa è avvenuta con la manutenzione delle strade, con il ritrovato successo turistico della città d’arte più ricca del mondo, con la questione delle case popolari, con il risanato Regio Teatro San Carlo che, improvvisamente si scopre, risanato non è. Che faccio ? Continuo ? Ne ho ancora molti di esempi, dalla chiusura delle mille società partecipate alla fine della gestione del patrimonio immobiliare del Comune da parte della Romeo.

Dunque si metta da parte la vergogna e si dia fiato alle trombe. Si chiudano le piazze, niente più feste niente più concerti. Si blocchino i bilanci e si affossino i teatri. Si chiamino a raccolta tutti gli amici, i caporali, i soldati semplici. Si occupi l’informazione, si cancelli il passato. Si conferisca nuova verginità a tutti quelli che sto’ macello economico e culturale lo hanno causato. Perché, scusatemi, bisogna essere proprio senza vergogna per sostenere che centinaia di auto bloccate in un costante ingorgo, in una strada corre lungo uno dei panorami più famosi del mondo, siano parte dell’identità storica della città.

Ma si, cacciamo i turisti, rovesciamo i cassonetti, spargiamo l’immondizia in strada e facciamo credere a tutti che tutelare l’ambiente in cui viviamo è inutile tanto “quanti anni vuoi campare, poi se la sbrigheranno quelli che verranno dopo di noi”. Convinciamo tutti che il lavoro è un privilegio e che dobbiamo abituarci ad avere sempre meno diritti. Convinciamo tutti che a Napoli “così è” e che non ci sono alternative.

La mia opinione e che a Napoli un folto manipolo di loschi figuri desideri fortemente restaurare una situazione del genere. Il motivo è semplice: se c’è crisi e la gente ha paura, è più facile, per i soliti noti e per il nuovo che avanza, fare affari. Esternalizzare servizi, creare appalti e sub-appalti, nominare commissari, fare accordi, fare debiti che non avranno alcuna speranza di essere ripagati (qualcuno sa dirmi a che stiamo con i derivati di Jervolino e Cardillo ? n.d.r.) solo per far arrivare una manciata di quattrini sempre nelle stesse tasche e le briciole ai napoletani.

La città degli affari, non mi piace, non la voglio.

BruceVoglio vivere in una città dove i valori della legalità, della sostenibilità, dell’equità e della giustizia siano punti cardinali. Voglio vivere in una città dove gli ultimi non saranno mai soli e dove le regole saranno sempre uguali per tutti. Voglio vivere in una città dove la cultura sia un valore e non un problema. Voglio vivere in una città senza fumo, senza comitati d’affari, , trasparente come una casa con le finestre aperte. Magari una città un po’ umida, ma onesta, come diceva Massimo Troisi nella scenetta dell’annunciazione.

Devo dirlo: sono stanco ma per niente scoraggiato. Attaccarsi a cavillose procedure contabili, chiudere le piazze, incendiare cassonetti, speculare sulla disgrazia di un palazzo crollato o sulla tragedia di una giovane vita spezzata non servirà a restaurare vecchi sistemi. Ci sono molte, moltissime persone che non lo permetteranno, che credono in una diversa possibilità  di fare la città, e che, come ebbe a cantare il boss a piazza del Plebiscito, continueranno a dire a tutti e con forza “ragazzo, dai una bella occhiata in giro, questa è la tua città, questa è la tua città”.

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