Pizzofalcone è una collina che si trova a Napoli, nei pressi del borgo di Santa Lucia, vicino alle scintillanti luci di Chiaia, a due passi dal mare. Maurizio De Giovanni, noto scrittore partenopeo, nel 2012, racconta per la prima volta nel “Metodo del Coccodrillo” le gesta dell’ ispettore Lojacono. Nel 2013 Lojacono approda al commissariato di Pizzofalcone. Nel 2017 l’ispettore Lojacono prende il volto di Alessandro Gassman ed appare in prima serata sul piccolo schermo targato RaiUno.
Ho visto con attenzione i primi tre episodi. La struttura narrativa è semplice: ogni episodio corrisponde ad un indagine, nel susseguirsi degli episodi, ne sono programmati sei ma sicuramente ci sarà una seconda stagione, i personaggi fissi si presentano e mettono in scena le loro storie. Morale della favola: un brodino leggero leggero, degno della Rai di Ettore Barnabei, megadirettore galattico della Rai democratica e cristiana dal 1961 al 1964, studiato e costruito per piacere al più vasto pubblico possibile.
Mentre li guardavo mi tornavano alla mente i fantastici episodi della serie americana Ellery Queen interpretati dal bravissimo Jim Hutton ma anche le italianissime produzioni di Nero Wolfe, il Tenente Sheridan, le inchieste del Commissario Maigret con Gino Cervi fino alle recenti saghe di C.S.I. Las Vegas, Miami, New York e tutta la programmazione di Fox Crime in onda su Sky.
La trasposizione televisiva delle storie dei Bastardi di Pizzofalcone non mi sta piacendo per niente.
Mi costituisco, confesso e mi dichiaro colpevole. Il fatto è che l’omonimo libro, il secondo della serie dell’ispettore Lojacono, l’ho lasciato a metà senza appello. Non mi ha preso, non mi ha catturato e non si è fatto divorare come mi è capitato spesso con altri libri. Narrazione piatta e scolastica, trama per niente originale, temi già visti. L’ispettore con un passato oscuro ed una storia familiare sofferente alle spalle, il commissariato macchiato dall’onta del tradimento e destinato alla chusura se non fosse per l’arrivo del nostro eroe, il dirigente ostile e tutta una serie di personaggi collaterali che sembrano costruiti seguendo i suggerimenti di “Shonda Rhimes for Dummies”.
Confesso ancora, dopo aver visto i primi due episodi ho recuperato il libro e mi son letto ancora qualche capitolo nella speranza di recuperare qualche buona sensazione. Va bene, da De Giovanni non mi aspetto Simenon o Conan Doyle, ma fammi almeno sentire l’odore di Andrea Camilleri o, al limite, di Marco Malvaldi. Fonti attendibili mi riferiscono che l’altra serie poliziesca di De Giovanni, quella del commissario Ricciardi è molto meglio. Mi fido sulla parola senza approfondire, magari arriverà la serie sceneggiata anche di quella, anche se la produzione dovrà fare bene i conti per affrontare i costi della messa in scena della Napoli degli anni ’30.
Mi sono levato uno sfizio. Sono andato a cercare nel libro, per confrontarle, una delle scene più forti della prima puntata, quella dell’incontro tra Nunzia e Alex, la prima una moderna Gigì e la seconda una poliziotta affollata di travagli interiori, con la relativa scena di nudo e l’inaspettato bacio. In tv messa in scena è da encefalogramma piatto, un improvviso campo lungo sterilizza tutta la tensione narrativa, va beh che siamo in prima serata su Rai 1 e davanti al mediatico focolare c’è un pubblico bello vasto (come confermeranno le rilevazioni degli ascolti n.d.r.) ma forse qualche cosina di meglio si poteva fare. Certo il regista Carlo Carlei è uno che ha al suo attivo, tra l’altro, la miniserie tv su Padre Pio e quella su Enzo Ferrari, entrambe con Castellitto, e quindi non è lecito aspettarsi scene alla Adrian Lyne (il regista di 9 settimane e 1/2 n.d.r.).
Vado a leggere le pagine del libro della stessa scena. Non mi aspettavo certo il Bukowski di “Storie di ordinaria follia” ma neanche la Louisa May Alcott di “Piccole Donne”. Va beh, forse sto esagerando ma il punto è che ad una messa in scena piatta corrisponde una scrittura per niente coinvolgente. Dunque De Giovanni non è che la moderna evoluzione di Liala in salsa investigativa ? Iniziano a venirmi seri dubbi che sia così.
Tornando allo sceneggiato: ricordate Ellery Queen quando verso la fine dell’episodio lo scrittore investigatore si rivolgeva direttamente agli spettatori e dichiarava a tutti che il caso era risolto e quasi mai noi spettatori ci azzeccavamo ? Ricordate quella sensazione di aver intuito una trama che puntualmente non era quella ? Bene, a Pizzofalcone questo, per ora, non accade. Le indagini sono semplici semplici ed i colpevoli spesso non arrivano inaspettati. Le indagini sono poca roba e spesso vengono offuscate dalle storie personali dei protagonisti che tengono insieme le varie puntate. La prossima puntata la vedrò più per sapere se Lojacono si arrenderà ai verdissimi occhi, al limite del Photoshop, del procuratore Piras, se Alex risolverà mai il conflitto interiore con il generalissimo padre o se Pisanelli verrà a capo delle sue ossessioni che per ammirare l’acume investigativo di Peppino Lojacono.
Dunque nel complesso il prodotto è deboluccio. E come si fa a rinforzare un po’ una produzione deboluccia ? Ci si gioca la carta della location. Ovvio, perché Napoli sta ai Bastardi come Roma sta alla Grande Bellezza, il paradigma sorrentiniano è applicato alla grandissima, salvo cadere in una serie di allucinanti ed inutili cartoline. Metti un grandangolo alla macchina da presa per dilatare le inquadrature, vira la temperatura del colore su tonalità cade e giallognole e fai la panoramica sul vicolo con i panni stesi, la spasella del pescivendolo con i frutti di mare e, tenetevi forte, il lungomare con il Vesuvio, Capri e tuttoilrestoappresso. C’è mancata solo la signora grassa seduta fuori al basso, la vetrina con le pizze a portafoglio e i babà di Scaturchio. Ma sono fiducioso, siamo solo a metà della serie. Quindi Napoli e le sue bellezze strumentalizzata per poter strappare il solito commento “che bella fotografia”, la città protagonista più o meno occulta della narrazione. Non mi piace, in fondo sto guardando un giallo, un poliziesco, non un documentario di Alberto Angela. Personalmente, Napoli, la avrei lasciata discreta scenografia delle indagini
Il cast, con qualche eccezione, è di basso profilo. C’è il grande attore al quale nessuno deve fare ombra, la gnocca che fa immagine e tutto il bel mondo del cinema e del teatro napoletano reclutato in massa che risulta, in qualche caso, tirato per i piedi. Mariano Rigillo è un gigante e fa il suo mestiere.
No, lo sceneggiato televisivo tratto dei libri di De Giovanni non mi ha convinto. Detta la mia personalissima opinione, bisogna oggettivamente dare il giusto riconoscimento al grande successo che i primi tre episodi hanno riscosso presso il pubblico con share da Festival di Sanremo. Il prodotto è di largo consumo, è confezionato in una bella scatola mainstream e si vende bene. Un ecumenico C.S.I. partenopeo.