I successi più limpidi sono quelli che sono decretati dalla voce del popolo. Ma che un prodotto sia di successo non significa per forza che sia anche un prodotto di qualità, di questo sono certo. E ne sono ancora più convinto se parliamo di produzioni artistiche. Figurative, letterarie, concettuali o quella che più vi piace.
Voglio dire: la produzione letteraria fantasy-magica della Rowling è stata indubbiamente un successo planetario che ancora dura ma, mi chiedo, è letteratura di qualità ? Le serigrafie di Warholl erano vera arte ? E potrei andare avanti così per ore, attraversando tutti i campi della creatività umana, spaziando da Oliviero Toscani a Lucio Fontana fino ad arrivare a Franco Battiato, così, tanto per buttar giù qualche nome associato a produzioni artistiche di indubbia fama.
E’ mia opinione che avere una buona produzione è condizione auspicabile per avere un riscontro dal mercato ma, sicuramente, non è indispensabile. Credo che il successo, in genere, richieda la capacità trovarsi al momento giusto, nel con il prodotto giusto e saper eccellere nell’uso della comunicazione.
Quest’anno ho riscoperto il piacere della lettura. Era tanto che non riuscivo più a perdermi in un buon libro, problemi con la vista che con l’avanzare dell’età inizia a far capricci, poco tempo a diposizione, la costante distrazione che offre internet. Poi ho scoperto un e-reader, una tavoletta da 6 pollici, leggera e luminosa, con la grandezza dei caratteri regolabili a piacere che può contenere migliaia di pagine. Piacevolissimo da usare a letto prima di addormentarsi, nel caos della metrò del mattino o sulla propria panchina preferita.
I primi personaggi che ho incontrato, apprezzando le peculiarità dell’inchiostro elettronico, complice i buoni consigli di qualche amico, sono stati il commissario Lojacono del noto gruppo dei “bastardi di Pizzofalcone” e l’amica “geniale” Elena Greco.
Lo dico da subito: nessuna intenzione di sminuire o dir male di de Giovanni o della Ferrante. Sono due autori prolifici e di indubbio successo, il pubblico li ama e li segue con costanza tanto da meritare il salto dalle pagine scritte al piccolo e grande schermo. Tuttavia, devo dirlo per completezza di informazione, nessuno dei due riesce a prendermi più di tanto. Di de Giovanni ho già scritto, la Ferrante mi ha lasciato assai perplesso. Di entrambi posso dire che, a mio modestissimo parere, scrivono con la testa e non con il cuore, un occhio al marketing ed uno alla tasca dando vita ad un prodotto molto mediocre, prodotto in serie, fatto per piacere alle platee più varie. Inevitabilmente mi ritrovo a riflettere sui motivi del loro incontestabile successo. Forse non è proprio indispensabile fare un prodotto eccellente per aver successo o, forse, sono io che non ci capisco una mazza.
Osservazione numero uno: il caso Rowling (la saga di Harry Potter n.d.r.) la porto ad esempio di scrittura ragionata a tavolino per confezionare un prodotto da vendere enne volte ed adatto ad alimentare un enorme indotto fatto di merchandising, giocattoli, figurine e parco a tema. La prima “pietra filosofale” forse sarà stata anche scritta sui tavolini di qualche caffetteria inglese, ma dal secondo/terzo libro in poi ho sempre sentito l’odore di una squadra di autori che comprendeva sicuramente psicologi, esperti di marketing, autori per il grande schermo e magari anche qualche esperto in fedi, religioni e misticismi vari.
Osservazione numero due: come diceva Brian Samuel Epstein ai suoi amati scarafaggi (i Beatles n.d.r.) “perché vendere una cosa una volta se la possiamo vendere due.”
Lascio stare de Giovanni che è oggettivamente un autore di genere e mi concentro sulla Ferrante che ho ancora calda nella memoria, ora sono a metà del secondo libro dell’amica geniale, dalla quale mi aspettavo tanto di più.
L’avventura è iniziata con una certa incoscienza, senza saper nulla né della trama né della storia della identità segreta dell’autrice. Sapevo solo che è una saga di grande successo iniziata nel 2011, prossima alla riduzione cinematografica e che è apprezzata da un pubblico prevalentemente femminile. Mi sono trovato proiettato nella Napoli in cui sono cresciuti i miei genitori, in certe descrizioni ho riascoltato i racconti della Napoli del dopoguerra che mi narrava mio nonno. Mi son tornate alla memoria le atmosfere cupe e violente di “Via Gemito” di Domenico Starnone, libro che molti anni fa ha segnato una intera vacanza sottraendomi al mare della Sardegna, tenendomi inchiodato alla sdraio sotto l’ombrellone. Mi ha intrigato quasi subito la storia di Lenuccia e Lila, introdotta da un primo capitolo che fa sentir aria di noir esistenziale e la narrazione del perfido don Achille che mi riverberava atmosfere incontrate in alcuni libri di Zafòn. A tutte queste belle sensazioni e subentrata quasi subito una insofferenza sempre più crescente. Insofferenza verso una narrazione lenta, diluita, dettagliata ma che non diventa quasi mai avvincente. Più leggevo più mi veniva da chiedere all’autrice “e dai, arriva al punto. Non ci girare attorno”. Alla fine del primo terzo mi sono fermato deciso ad accantonare la lettura definitivamente. Giudizio negativo su tutta la linea ma con un dubbio: perché non mi piace ?
Qualche tempo fa parlavo di scrittura creativa con un amico. Metodi e tecniche di scrittura, i personaggi, il canovaccio della storia, scrivere per chi. Su una cosa siamo stati d’accordo, la scrittura di una storia è sostanzialmente un lavoro di sottrazione, ovvero eliminare da una narrazione il superfluo. Naturalmente questo è solo un parere, si può scrivere una storia con mille ghirigori ed interminabili dettagliatissime descrizioni a servizio della narrazione ed ottenere uno splendido risultato. Personalmente prediligo la scrittura essenziale e veloce, quella che rapisce e ti tiene con il naso incollato alle pagine.
La Ferrante, a mio parere, attenta alla costruzione del prodotto, non riesce a confezionare una storia convincente. L’amica geniale è una narrazione inutilmente lunga, fa sentire l’odore di mille atmosfere ma non ne fa assaporare nessuna, promette molto ma delude le attese. Durante la lettura, che mi sono ostinato a fare fino alla fine, avevo l’impressione di visualizzare uno schema, una ricetta studiata a tavolino per produrre una bella saga main stream da vendere enne volte. Mi introduci in un giallo, mi fai sentire odore di noir, mi convinci che è un romanzo di formazione. Alla fine credo di aver letto un romanzetto rosa molto ben infiocchettato dal finale insopportabilmente banale, quasi una sceneggiata che sembra dire “ …continua sul prossimo libro, che se ci è riuscita la Rowling con il suo maghetto ce la posso fare anche io con la mia fata plebea”. Un esercizio di scrittura tecnica fatta per produrre un libro da vendere il più possibile ad un pubblico molto ben individuato. Neanche Liala sarebbe riuscita a fare meglio. Ora aspetto il film e temo il relativo merchandising e il rilancio della moda donna anni ’50. Magari avremo anche, per le nostre figlie, il diario scolastico di Elena Greco, il cestino della merenda di Lila e le vere scarpe artigianali Cerullo. Viene da chiedersi se qualcuno ha già depositato il marchio commerciale ?
Si, a mio parere la sostanza è questa e capisco anche la scelta di creare il personaggio collaterale dell’autrice misteriosa. Tutto è parte del piano, fermo restando che, lo ribadisco, leggendo le avventure di Lenuccia mi sembra di rivivere certe atmosfere di Via Gemito e di conseguenza sarei portato a appoggiare le conclusioni a cui è arrivato Claudio Gatti nel 2016, sulle pagine del Sole24Ore, che portano ad Anita Raja, moglie di Domenico Starnone.
L’amica geniale poteva essere una bella storia, un bel libro. Magari voluminoso, un bel tomone alla J. R. R. Tolkien, ma un grande unico meraviglioso libro. Sarebbe bastato eliminare un po’ di roba inutile. Quattro volumi, sono a metà del secondo e non so se andrò avanti, di scrittura fredda, tecnica, senza cuore. Mi dispiace per Elena e Lila che forse meritavano maggiori cure ed attenzioni e speriamo che il film attualmente in produzione, non le consegni definitivamente all’oscuro e vuoto regno della banalità.
Nota a margine: se vi capita, ascoltate l’audiolibro letto da Anna Bonaiuto, la bravissima attrice, nel 1995, dell’Amore Molesto (altro romanzo della Ferrante n.d.r.) per la regia Mario Martone. Una piccola perla di recitazione degna degli anni d’oro dei radiodrammi dell’E.I.A.R e della R.A.I. del dopoguerra.