La prima impressione è che Perfetti Sconosciuti è un film che si regge sulla storia che racconta. Vi è mai capitato di vedere un film ed ascoltare fantastiche recensioni sulla scenografia, sull’interpretazione del tal attore o tale altra attrice, sul bellissimo montaggio analogico o sui magnifici effetti speciali? La colonna sonora? Bene, Perfetti Sconosciuti è un bel film perché si regge su una bella storia. Interessante, inquietante, intrigante, che stimola riflessioni.
Claustrofobico, nel senso che si svolge tutto in un unico grande ambiente, la casa di una coppia, evidentemente più che benestante, della Roma bene. Bravo il regista a rendere la narrazione godibile nei momenti più leggeri e scura nei momenti più drammatici.
Una cena tra amici, tre coppie più un amico che si presenta al convivio inaspettatamente da solo lasciando così un posto vuoto a tavola. La presentazione dei personaggi è veloce, si intuiscono delle situazioni senza particolari approfondimenti. C’è la coppia di freschi sposi, quella navigata, c’è l’amico che viene fuori da una brutta storia e vuol presentare agli amici la nuova fidanzata.
Nel cielo terso della notte, la luna piena, assolutamente irreale, viene lentamente oscurata da una eclisse totale ed inizia la storia. La padrona di casa, prendendo spunto dalla conversazione con i suoi ospiti, invita tutti i commensali a rivelare le proprie scatole nere mettendo sul tavolo i propri telefoni intelligenti.
La storia entra nel vivo ed il film esprime completamente tutta la sua sostanza. Svolgimento non banale, qualche passaggio un pochino scontato e finale a sorpresa che lascia allo spettatore più di uno spunto di riflessione. Questo è, nella mia opinione, il maggior pregio del film che, con una rappresentazione scarna racconta una storia piena di significati. Le riflessioni sono, come ben potete immaginare, sulla sostanza della vita e su come la tecnologia, intrappolandola e sintetizzandola nei nostro fedele telefonino, la rende evidente oltre il personaggio che ci si può cucire addosso. Mail, messaggi, fotografie, anche la musica che ascoltiamo dal telefono o la cronologia dei siti che visitiamo dipingono l’inesorabile quadro di quel che siamo.
Gli interpreti sono tutti bravi, tutti astri nascenti del cinema italiano e qualche bella certezza come l’impareggiabile maschera di Valerio Mastandrea. Il regista, che firma anche il soggetto, Paolo Genovese, è uno che dietro la macchina da presa ci sa fare sia quando deve raccontare storie leggere e commedie scacciapensieri sia quando si deve avventurare su terreni meno scontati. Il bellissimo “Incantesimo Napoletano” del 2002 fu la sua opera prima condivisa con Luca Miniero, poi “La Banda dei Babbi Natale” del 2010, da solo alla regia, con Aldo, Giovanni e Giacomo ed in ultimo quel filmettino rosa romantico post-adolescenziale del 2015, che sta passando on questi giorni su Sky, “Sei Mai Stata Sulla Luna?” con Raul Bova.
Un bel film italiano da vedere a mente aperta, poi il vostro cellulare non sarà più lo stesso. Quattro stelle su cinque, ma solo perché ogni tanto qualche banalità è scappata. Un pochino di attenzione in più alla scrittura di un film così pieno di temi ed argomenti andava messa.