Il pensiero, quando ho visto per la prima volta la presentazione di The Place, è andato naturalmente al precedente film di Paolo Genovese, quel Perfetti Sconosciuti che tanto ci ha fatto parlare. Ho temuto un sequel della serie “squadra che vince non si tocca” considerata anche la presenza di Mastandrea e Giallini. The Place ha degli elementi in comune con Perfetti Sconosciuti ma se ne discosta a sufficienza per vivere di vita propria e farsi apprezzare.
In comune con la precedente pellicola ha il palcoscenico, tutta la storia si svolge in un unico luogo. Un locale che riporta alla mente film americani, la classica tavola calda dove il fuggitivo o i viaggiatori di turno si fermano a cercare ristoro, una sosta lungo un percorso lungo una strada in una città non meglio identificata.
Ancora in comune con Perfetti Sconosciuti troviamo che il protagonista della storia è l’animo umano. Il tema questa volta è il desiderio e quel che si è disposti a fare per appagarli, tema che prende forma attraverso otto storie diverse che sono raccontate concedendo alle immagini solo i volti dei protagonisti quasi sempre intrappolati in stretti primi piani.
Il film, ci informa Wikipedia, è l’adattamento cinematografico della serie tv americana The Booth at the End attualmente in programmazione su Netflix e, se posso esprimere un parere personale, attinge molto anche dalla edizione italiana della serie tv In Treatment , per la regia di Saverio Costanzo e con Sergio Castellitto nella parte del protagonista, in cui uno psicoterapeuta incontra nel suo studio un variegato campionario di tipi umani. Un unico ambiente, tante parole, tante facce.
Per tornare a The Place, che poi è il nome del locale dove si svolge la trama, c’è un tizio, Valerio Mastandrea, perennemente seduto ad un tavolino un po’ in disparte, che riceve le visite di personaggi di varia natura che hanno un desiderio da realizzare. A tutti il tizio seduto al tavolino offre la possibilità di fare qualche cosa, di svolgere un compito, per vedere il proprio desiderio avverarsi. Compiti mostruosi per realizzare desideri quasi sempre orrendi e nessuno spazio alle trattative. E’ sempre una questione di: o prendere o lasciare.
Lo spettatore assiste alla rappresentazione di un breve atlante dell’animo umano: dal desiderio carnale più banale al padre che vuole salvare la vita al figlio malato. C’è il desiderio di essere di più di quel che si è, c’è la donna che insegue l’amore perfetto e quella che rivuole indietro il tempo andato. Tutti temi svolti con dialoghi serrati e giochi di sguardi perennemente in bilico tra il baratro dell’inferno e la redenzione dell’uomo che ritrova la sua parte migliore.
Della vecchia squadra troviamo, oltre Mastandera, Giallini e Alba Rohrwacher. Tutti gli attori sono all’altezza del compito, forse solo il redivivo Muccino è un po’ troppo uguale a se stesso. Sabrina Ferilli, quasi quasi, potrei dire che sta imparando a recitare sempre meglio anche se esprime sempre una romanità marcata che, forse, suona stonata nella generale asetticità della messa in scena. Comunque si voglia giudicare il film e l’argomento trattato, considerato l’alto tasso di recitazione necessario per tener viva una narrazione del genere, bravi gli attori, bravo Paolo Genovese e consentitemi una mozione di merito per la montatrice Consuelo Catucci, pluripremiata autrice dei montaggi di Perfetti Sconosciuti, 7 Minuti, La Cena di Natale ed una lunga serie di altre pellicole di vario genere.
Un elemento che ho molto apprezzato della costruzione della storia è che molto viene lasciato alla libera interpretazione dello spettatore. Potete guardarlo come l’ennesima variazione del tema del Faust di Goethe, o potete pensare ad un dramma psicologico, non cambia molto. C’è del paranormale nella trama ? Se volete si, altrimenti è lo stesso. La questione proposta dal film è solo una: quanto siete disposti a rinunciare a voi stessi, alla vostra integrità, ai vostri valori, per soddisfare i vostri desideri ? Siamo tutti dei mostri fino al momento della possibile redenzione ? Forse. Certo è che, incastrati nella trappola del desiderio, ci ritrovano davanti ad un specchio impietoso che evidenzia tutti i nostri pregi e difetti e che riesce anche a tirar fuori, da ogni uomo o donna, inaspettate capacità che rendono possibile l’inaspettato. Mi torna alla mente Il Silenzio degli Innocenti (1991, Jonathan Demme n.d.r.) quando il dottor Hannibal Lecter chiede alla giovane agente Starling: dimmi Clarice, quand’è che l’uomo inizia a desiderare.
Finale con moderata sorpresa che naturalmente non racconto. A me è arrivato un pochino scontato nello svolgimento ma con una colpo di scena inaspettato che lo rende godibile.
Dopo averci riflettuto per due giorni ho deciso che è un bel film. Quattro stelle su cinque.