No. Devo dire che non mi è piaciuta, non riesco ad attribuirgli alcun valore artistico o educativo e non mi piace neanche tutto l’immaginario collettivo che le è fiorito intorno. L’unica cosa che riesco a salvare, sbirciando nell’indotto, sono le parodie lanciate in rete dai giovani video maker napoletani noti come “The Jackal” e neanche tutte.
Di che cosa parlo ? Parlo di “Gomorra – La serie”, sottoprodotto, o forse spin-off, come direbbero gli intenditori di produzioni seriali televisive, del film tratto a sua volta dal libro di Roberto Saviano diretto nel 2008 da Matteo Garrone, regista fino a quel momento poco noto, venuto fuori nel 2002 con “l’Imbalsamatore” grazie anche alla partecipazione al festival di Cannes.
Diretto da Stefano Sollima, Francesca Comencini e Claudio Cupelini (fonte Wikipedia n.d.r.) la serie è l’ultima produzione del filone dedicato ai malavitosi, alle associazioni criminali ed alle loro parabole.
Come mia abitudine, quando cerco di farmi un’idea su di un evento di massa, il successo della serie è stato indubbiamente un evento di massa, vado alla ricerca di informazioni ed, in questo caso ho cercato le origini della produzione. I delinquenti di Gomorra – La Serie hanno un illustre antenato televisivo che è, nientepocodimenoche il fico d’India per eccellenza, il Sandokan televisivo diretto nel 1976, agi albori della tv a colori, dal papà di Stefano, Sergio Sollima.
In casa Sollima le pistole non sono mai mancate, quelle dei romantici cowboy degli spaghetti western e anche quelle di criminali incalliti. Spulciando nella filmografia di Sollima padre, nel 1970 il cattivo ha la faccia di Charles Bronson in “Città Violenta”, nel ’73 la pistola è tra le mani di Oliver Reed in “Revolver”. Storie d’amore e criminalità che il regista sceneggiatore alterna a più leggere storie di cavalli, praterie ed eroi senza macchia e senza paura del lontano far west. Voglio ricordare solo il grande Gian Maria Volontè, insieme al mitico Tomas Milian, nel 1967, in “Faccia a faccia”. Un autore di genere si direbbe che sicuramente trasmette ai suoi posteri il suo magistero cinematografico. Un genere pieno di cattivi, proiettili, eroi negativi che a volte si redimono ma anche no, buoni che sembrano sempre sul punto di soccombere salvo colpo di scena finale.
Il giovane Stefano, figlio di tale padre, la prende alla lontana. Qualche cortometraggio, un po’ di puntate della soap tutta napoletana “Un posto al sole” dove tra un paio di corna, qualche storia d’amore adolescenziale, incerte gravidanze e drammi di vita vissuta, ogni tanto, qualche pistolettata ci scappa (Franco Boschi canovaccio di Ciro l’immortale mi chiedo ?), poi dalla parte dei buoni nella serie, e rimaniamo a Napoli, “La squadra” e poi ancora a confrontarsi con il lato oscuro del genere noir nella serie “Crimini” di cui dirige tre episodi.
Nel 2008 la svolta ed il grande successo con la riduzione in serie televisiva del bellissimo film di Michele Placido “Romanzo Criminale” tratto dall’omonimo libro di Giancarlo De Cataldo. E di riduzione in tutti i sensi, nella mia modestissima opinione profana, si tratta. Rispetto al film di Placido la serie è poca roba fatto salva, forse, solo la ricostruzione degli anni ’70, ’80 e ‘90 che è di ottimo livello. Ed è con i personaggi di questa serie che iniziano i problemi che poi ho ritrovato in “Gomorra – La serie” e che non mi hanno convinto della bontà della messa in scena.
Guardo il Libanese interpretato dal bravissimo Pier Francesco Favino e quello portato in tv da Francesco Montanari. Il primo è un personaggio perso fin dal principio, uno indifendibile che, si sa, finirà male come tutti i suoi compagni della banda. Uno maledetto, uno negativo, uno che vive anche grazie alla luce che gli riflette il suo antagonista, il commissario Scialoja. Un cattivo bravo a muoversi tra gli eventi della sua epoca che diventa tanto più cattivo quanto più gli eventi si fanno più grandi di lui. Allo spettatore i componenti della banda risultano fastidiosi, sporchi, veri cattivi (effettivamente lo erano n.d.r.)
Nella serie vista prima su Sky e solo successivamente trasmessa dalla tv commerciale questa rappresentazione dei personaggi cambia. Sarà che 22 episodi in due stagioni vendute sulla tv a pagamento, commercialmente parlando, vanno confezionati con criteri diversi da quelli dei 154 minuti cinematografici del film di Placido, sarà che bisognava rendere più articolata ed avvincente la narrazione, i cattivi si ripuliscono e si conquistano il ruolo di eroi, eroi negativi siamo d’accordo, ma pur sempre eroi. La trasfigurazione è tanto efficace che il pubblico, soprattutto quello più giovane, per il quale la serie è stata probabilmente tagliata a misura, quasi quasi, trova nel Libanese di Montanari un modello emulabile.
Questa trasformazione dei personaggi cattivi da delinquenti ad anti-eroi non mi piace. Anche nello sceneggiato televisivo (ora la chiamiamo fiction ma sempre sceneggiati televisivi sono n.d.r.) il camorrista è e resta un delinquente, personaggio negativo a tutto tondo senza attenuanti. Non è una vittima, non è un emarginato, non è un prodotto della società, è solo uno che decide di fare il delinquente e che, quindi, non merita nessuna pietà da parte dello spettatore. I ricordi mi spingono a fare paragoni e mi riportano ad un altro film gomorroide. Nel 2009 Marco Risi porta sul grande schermo la storia di Giancarlo Siani con Fortapàsc. Grande misura nel delineare i confini dei personaggi senza nessuna concessione fatta ai cattivi di turno per rendere la narrazione più avvincente.
Lo stesso Garrone nel suo film tratteggia bene i personaggi e non fa sconti a nessuno. Il pasticcio accade nella trasformazione da film a fiction. Accade così che vedo ragazzi vestirsi ed atteggiarsi come Ciro l’immortale o di Genny Savastano, con la chioma alla moicana ed il muso perennemente imbronciato. Il look di donna Imma diventa trendy e magari, a qualche ragazzino delle medie, viene in mente di comportarsi in classe come i bimbi perduti che fiancheggiano le gesta dei protagonisti e magari mettere insieme una banda. Che brutta quella sequenza in cui un gruppetto di adolescenti, in un locale pacchianamente lussuoso, dissertano del modo migliore per uccidere un essere umano. Non sono d’accordo quando Marco D’Amore, intervistato da Fabio Fazio, riconosce al suo personaggio la veste di eroe di guerra, neanche “Gomorra – La serie” fosse un poema epico. E non sono d’accordo neanche con Saviano quando, alla fine della terza parodia dei Jackal, apparendo a sorpresa alla fine del siparietto tra il povero cameriere ed il demente soggiogato dai personaggi della serie, sostiene che scherzare sulla camorra va bene, perché così i ragazzi, principali destinatari delle parodie in rete, la smontano, la ridicolizzano. Che cosa ridicolizzano ? Le decine di persone morte perché coinvolte in fatti di camorra ? I ragazzi che si sono persi, irretiti da delinquenti senza scrupoli ? O forse ridicolizzano gli sforzi di migliaia di persone che a Scampia, in mezzo alle maledette vele, lottano ogni giorno per rimanere persone per bene. Ciro e Genny non sono due eroi o anti-eroi che dir si voglia. Non c’è nessuna epicità nelle loro gesta. Nessun romanticismo, nessuna giustificazione plausibile. Il primo è un criminale che rinuncia a convertirsi al lato luminoso della forza non appena intuisce la possibilità si scalare la gerarchia criminale in cui vive e dalla quale si lascia divorare. Genny è un povero cretinetto nato nella famiglia sbagliata, senza spina dorsale, senza carattere, vittima di una mamma che a sua volta sceglie di vivere nell’ombra del marito criminale, che diventa l’improbabile caricatura di un capobanda, tanto ridicolo da diventare facile e scontata preda di parodie e sfottò di varia natura.
Immagino che alcuni di voi, forse molti, non saranno d’accordo con me e che, per il tempo che avete perso a leggermi, mi riterreste meritevole di un colpo di pistola nella zona del corpo cara al mio dentista. Mi rendo conto. Resto tuttavia negativamente colpito quando la cronaca cittadina racconta di file di avventori entusiasti, in zona ferrovia, alle bancarelle che spacciavano la versione pirata, masterizzata su dvd, delle puntate della serie andate in onda si Sky. Resto colpito, e non mi piace.
Sarò pure un vecchio bacchettone ma, per me, l’anima di Gomorra sta in tutte le persone che non si arrendono al luogo comune secondo il quale, in certe zone della città, non ci sarebbe alcuna alternativa al male. E’ nei ragazzi che continuano ad andare a scuola e nei loro insegnanti, in tanti cittadini che difendono il loro territorio. E’ nell’azione delle forze dell’ordine, negli amministratori pubblici che combattono la corruzione e la malapolitica e che non svendono il territorio per un pugno di voti. La vera anima di Gomorra è in tutti quelli che non mollano. Tutta gente che, ogni giorno, giorno dopo giorno, ha sempre la testa piena di pensieri.