Questo è il mio blog. Esiste dal 2009, a gennaio del prossimo anno saranno 10 anni, mi piace molto curarlo, quasi come se fosse il mio vero lavoro. Troppo poco tempo da dedicargli, i blog sono bestie impegnative assai, difficili da sfamare. Ricordo di averlo quando vedo cose strane, cose che mi colpiscono ed allora ci ritorno, faccio un bell’aggiornamento della piattaforma ed inizio a scrivere.
Cos’è che la politica non fa più in Italia? Ci rifletto da un po’ e mi rendo conto, rimanendone profondamente desolato, che sono anni che la politica non unisce più il paese. Divide, separa, contrappone, distingue, arrivando addirittura a spaventare. Non unisce, mi fa sentire sempre più solo, a combattere contro i barbari che sono alle porte. Si, i barbari che arrivamo, ma anche sul mio vicino di casa mi stanno venendo dei dubbi.
Nel 1994 Berlusconi scese in campo. Fino a quel momento, per la precisione direi fino a prima di tangentopoli, l’Italia era un paese con una identità più o meno definita. Ideologicamente divisa su molti fronti ma più o meno unita, almeno quando c’era Pertini al Vermicino o sugli spalti del Santiago Banabeu. Forse unita anche a tirare le monetine a Craxi con tutto quello che rappresentava ma questa è un’altra storia. C’era la destra di Almirante la sinistra di Berlinguer ed il centro democristiano con tutte le sue convergenze parallele. C’erano i radicali ed i loro referendum. C’era il nord e la cassa per il mezzogiorno. C’erano gli Agnelli con la Fiat e la Juventus e l’IRI di Giuseppe Petrilli braccio economico della politica. C’erano anche la lotta armata, la mafia, la N.C.O. e i grandi misteri di stato. Però eravamo un paese unito o almeno così sembrava. Non eravamo nazionalisti come i francesi ma avevamo la nostra italianità, nel bene e nel male.
Poi venne Berlusconi che, oltre a levarci lo sfizio di incitare le nostre nazionali sportive col grido di “forza Italia”, innescò qualcosa. Iniziammo ad essere contro. Gli uni contro gli altri. Quel velo di pietosa vergogna sotto al quale si era nascosta la politica fino al delitto Moro, stracciato e stropicciato dall’arroganza socialista, venne definitivamente gettato via. L’immagine prese il sopravvento sulla sostanza, le bugie ripetute all’infinito si elevarono al rango di verità, la questione morale divenne un inutile accessorio della politica e tutti iniziammo a guardarci in cagnesco. Si smise di ascoltare, l’improbabile divenne plausibile ed il confronto divenne inutile. La contrapposizione dura e cruda divenne il metodo.
Il senatur, quello che passeggiava leggiadro in canottiera per il viali di Arcore, faceva la sua parte fin dal 1990, alimentando le divisioni su base etnica, regionale ed economica. Anche loro, quelli della lega erano gli unti dal signore, duri e puri.
Tutto divenne più difficile, miglioramenti non se ne apprezzarono, il milione di posti di lavoro rimasero una chimera, il processo di unificazione europea ci rese tutti più poveri incattivendoci, trasformando, nel 2002, le nostre 50.000 lire in 50 striminzitissimi euro. Per qualcuno tutto andava bene ed i ristoranti erano pieni. I poveri iniziarono ad odiare i ricchi ed i ricchi, divenuti ancora più ricchi, iniziarono a guadare con una certa sfacciata sufficienza i poveri che non avevano più neanche la classe operaia nella quale riconoscersi. Ci aveva pensato Occhetto alla Bolognina a mettere le cose in chiaro a sinistra. D’altro canto la depenalizzazione del falso in bilancio aveva sbiancato le vesti della classe dirigente e resa rampante una nuova leva di manager. Per qualsiasi problema o difficoltà bisognava prendersela con l’Europa
Mentre gli italiani continuavano a perdersi i pezzi e a cercare i cattivi negli strati più bassi della società, nel 2005, al proscenio della neonata rete, fece il suo debutto il blog di Beppe Grillo. Multimediale identità digitale del noto comico genovese che già da qualche tempo aveva abbandonato la satira politica a favore delle orazioni illuminate, a volte ingenue a volte anche interessanti, adottato dalla Casaleggio e associati. E con Grillo una nuova casta di illuminati salì al proscenio della politica.
Divisioni su divisioni, la politica, dal 1994 in poi, non ha fatto altro che creare divisioni. Ha lacerato il paese in tanti piccoli sottoinsiemi, delle tribù, delle caste, tutte in possesso della verità assoluta, verità da imporre, a qualsiasi costo.
Nella mia opinione è così che è andata. Ecco perché adesso mi ritrovo a vivere in un paese triste e violento, inequivocabilmente animato da ideologie fascite. Un paese privo di contenuti in cui una classe di politici sprovveduti quanto ignoranti, come solo i gerarchi fascisti di paese sapevano essere, non sapendo assolutamente come affrontare i problemi più urgenti del paese, pretendono di distrarre le masse alimentando sentimenti di contrapposizione e divisione.
Ma veramente siamo tutti convinti che i mali dell’Italia sono in quella manciata di disperati che arrivano dalle coste della vicina Africa inseguiti dalla guerra? Ma veramente siamo tutti convinti che il problema su cui investire risorse ed energia sono i migranti, tanto disprezzati quanto, alla bisogna, sfruttati. Ma veramente siamo convinti che il problema sono le persone dello stesso sesso che si amano e che desiderano dare una forma alla loro vita insieme? Ma veramente siamo persuasi che per instillare un po’ di senso civico ai nostri ragazzi sarà sufficiente sottoporli a qualche mese di disciplina militare? Ah, e degli 80 euro di Renzi vogliamo parlarne?
A pensarci bene, infondo, questi non hanno inventato niente, il “dividi et impera” si usa da anni. Comodo, è un po’ come il fumo negli occhi. Basta presidiare bene i media ed i canali di informazione, martellare sempre con gli stessi argomenti, seguire una precisa campagna di marketing e presto la gente smetterà di pensare ed inizierà a spiare nella casa del vicino alla ricerca di efferati delitti. Comodo, è un metodo garantito per non far capire che non si hanno idee o, peggio, per vestire i servi da padroni.
Ma veramente siamo tutti convinti che i ciccobelli e le ciccobelle dell’attuale scena politica italiana hanno idee proprie su economia, politiche fiscali, sanità e welfare, istruzione, politiche europee ed globalizzazione, sicurezza, lotta al terrorismo, lotta alle mafie ed alla corruzione, commercio internazionale, difesa e cooperazione militare, politiche di sviluppo e per il lavoro? Personalmente “mi sono fatto persuaso” (cit.) che con questi non si vada oltre i “tombini di ghisa” (cit.) le eterne consultazioni online e l’olio di ricino.
Vabbè direte voi: ma allora chi c’è dietro a ciccobello ? Boh rispondo io: probabilmente quella famosa minoranza che detiene la maggioranza del potere economico. O magari quelle menti illuminate che pensarono di risolvere andando a trattare con la mafia ? Lo scopo sembra essere sempre lo stesso, cambiare il meno possibile e far sopravvivere il sistema.
Resta il fatto che la politica dovrebbe unire, lanciare ponti, creare catene di solidarietà e non dividere ed infondere paura. Sono rimasto colpito, durante la recente campagna elettorale, che l’unica affermazione politicamente valida l’ho sentita da un supereroe della Marvel al cinema: “nei tempi di crisi gli stolti costruiscono barriere i saggi gettano ponti”. Nei telegiornali il vuoto delle banalità del tutti contro tutti.
Pensate, per esempio, ai temi legati al lavoro ed all’occupazione. I contratti a termine sono il classico esempio di argomento che crea divisione e conflitto. Così come hanno posto la questione passa il messaggio che da un lato c’è il padrone che vuole sfruttare la precarietà come arma di ricatto del lavoratore e dall’altro il povero lavoratore oppresso e sfruttato che insegue il suo sogno di stabilità. Ma qualcuno si è chiesto perché i contratti a termine hanno dato impulso alle assunzione ed i contratti a tempo indeterminato porteranno immancabilmente ad una diminuzione degli occupati? E’ una questione di lotta di classe? Non credo, molto più semplicemente credo che sia una questione di incertezza degli scenari economici e di una pressione fiscale esagerata che impediscono, a tutti i livelli dell’economia, una programmazione d’impresa di medio o lungo termine. Meglio l’uovo oggi che del domani non c’è certezza. Il ministro del lavoro dovrebbe parlare di economia, legislazione del lavoro, fiscalità e costo del lavoro, accesso al credito delle piccole e medie imprese, di lotta al sommerso ed allo sfruttamento. Dovrebbe parlare della ricostruzione di un patto tra chi il lavoro lo presta e chi il lavoro lo crea con in mente ben chiara la nostra Costituzione. Dovrebbe dire che il senso del lavoro sta in uno scambio, una prestazione professionale diligente contro un compenso giusto e proporzionato per il conseguimento di un risultato economico. Un ministro del lavoro saggio, ma anche un presidente del consiglio, non dovrebbe sollevare polveroni da 80 euro ma creare condizioni economiche incoraggianti per chi vuol fare impresa, impedire che la malavita e la corruzione si insinui nel tessuto produttivo della nazione, combattere l’evasione fiscale. Un buon punto di partenza sarebbe, tanto per cambiare, iniziare ad applicare le leggi che già ci sono. E’ illogico ed anche stupido pretendere di creare lavoro per mano di legge. Cari politici, per un momento, provate ad uscire dalla logica dei bacini elettorali e provate a fare gli interessi dei cittadini con competenza se ne avete ed onestà intellettuale, se ne avete anche di questa.
Creare lavoro. Magari sarebbe utile passare dalla scuola e dalla formazione. Caro signor presidente del consiglio, al tuo posto una chiacchierata con il ministro dell’istruzione me la farei per verificare il grado di adeguatezza della formazione di chi esce dalla scuola al mondo del lavoro. Magari sarà necessario investire qualche soldo sugli insegnanti. Ricordarsi anche di provvedere a quelle fasce di lavoratori in difficoltà non sarebbe male, andrebbe nel capitolo “stato sociale”. A tal proposito verificherei bene con il ministro delle finanze come e dove si spendono i soldi dei contribuenti.
La politica deve unire e non dividere, se un paese è unito nessuno rimane indietro, il malaffare ha vita difficile, i furbetti vengono estromessi e la ricchezza si distribuisce equamente. Lavoratori con imprenditori, insegnanti e studenti, i ragazzi con gli adulti, destra e sinistra. Unire ideologie e programmazione di lungo periodo, una via per rendere anche i sacrifici necessari più sensati e sopportabili. In Italia la politica continua a ragionare con un orizzonte temporale, al massimo, di un paio di anni. Parla per slogan, indica nemici, spaventa, divide.
La politica non può respingere una nave con poche decine di disperati in pericolo di vita dicendo che fa gli interessi degli italiani. Ma di quali italiani ?
Non vi dico niente di nuovo se vi dico che sono napoletano. E da napoletano consiglierei ai politici che stanno in parlamento di venire a fare una bella gita nella mia città. A Napoli è da un po’ di anni che si battono strade inusuali per la politica nazionale. Si include, si accoglie, si costruisce. Si integra, senza soldi si creano punti di contatto, si sta creando la cultura dei beni comuni. A Napoli l’acqua e pubblica. A Napoli, senza soldi, si rifanno strade, si assumono maestre, si tutelano le fasce più deboli. Non ci si arrende al dissesto e non si licenzia. Non si privatizza. A Napoli sono anni, e questo è per me un valore inestimabile, non si sentono storie di corruzione e malaffare nella gestione della cosa pubblica. A Napoli si affidano spazi inutilizzati a chi fa attività socialmente utili. A Napoli si apre il porto e ci si prepara ad accogliere le navi dei rifugiati. Mi piace parafrasare la nota affermazione del noto preside della famosa scuola per maghi e streghe “Napoli darà sempre una mano a chi ne farà richiesta”.
Ed ancora, a proposito di risorse economiche, Napoli, che io sappia, è l’unica città d’Italia che ha sollevato la questione del debito ingiusto. Perché non si può sempre morire sotto la scure della ragion economica. Ah, scusate, in tutto questo mio straparlare ho dimenticato di citare il sistema bancario e le sue distorsioni. Debito ingiusto: un concetto decisamente rivoluzionario.
Rivoluzione, un concetto che andrebbe rivalutato. La rivoluzione del con e non quella del contro. Questa sera invece che guardare il solito telegiornale esco e mi faccio un bel bagno di sana napoletanità. Magari vado a Taverna del Ferro a Barra, dove Jorit, dopo la brutta storia dell’arresto in Israele, sta realizzando un nuovo murales. Si, perché l’unione e la cultura della inclusione e della legalità si costruisce anche attraverso l’arte. Altro che “tombini di ghisa” (cit.)