Ci sono film che preferisco vedere il giorno della prima, al primo spettacolo, magari con un po’ di fortuna in una sala semi deserta. In questo modo mi è più facile vivere la pellicola in autonomia, senza aver ascoltato i mille pareri e le mille recensioni che sempre seguono l’uscita di un film molto atteso.
Il film di Paolo Sorrentino esce sicuramente segnato dal marchio “vietato dire che è non ti è piaciuto”, un po’ come succede per i film di Fellini o di altri mostri sacri che a volte non li si apprezza più di tanto ma, un po’ ci si vergogna ad andare controcorrente. Fatta questa premessa, “E’ stata la mano di Dio” è una bella cosa. Difficile parlarne senza correre il rischio di fare spoiler ma per il momento procedete tranquilli.
La sensazione che mi ha lasciato è quella della conclusione di un percorso, idealmente ho messo in fila “L’uomo in più” (2001), il bellissimo e secondo me insuperato “This must be a place” (2011), “La grande bellezza” (2013), “Youth” (2015) e naturalmente tutta la saga del giovane e del nuovo papa (2016 e 2020).
Sorrentino decide di prendete tutto quello che ha messo in scena in questi anni, farne un bel frullato, eliminare tutti i voli pindarici, le allegorie, storytelling arditi e onirici e finalmente torna a casa, all’origine di tutta la questione. Il senso é l’elaborazione dell’abbandono. Tutto molto bello, potente, emozionante. Il fatto è che, nella mia opinione, il lavoro di sfoltimento di tutto quello che non era necessario non è completamente riuscito o forse non lo ha voluto fare. Comunque è un’opera che punta al mercato internazionale, agli Accademy Awards, al grande pubblico. Non a caso tra qualche giorno lo vedremo nei salotti delle nostre case, nei nostri maxi “smart” schermi comprati al black friday, su Netflix.
Lo avrei preferito più asciutto, più intimo. Invece ci sono dentro le panoramiche della grande bellezza, le immancabili “facce di Fellini” che non se ne può più, le lente, interminabili, inesorabili carrellate all’indietro che come le fa Paolo non le sa fare nessuno. Considerato il tema tosto assai, mi sarei aspettato un pugno nello stomaco e invece mi sono sentito blandito. Bellissime le scelte narrative, meno la messa in scena.
Degli attori mi sento di citarne tre da standing ovation: Filippo Scotti che fa il “Young Director”, Luisa Ranieri nella parte della musa ispiratrice e il bellissimo cameo di Renato Carpentieri. Il resto sono tutti specchiati professionisti al servizio del copione e dello sguardo del regista. E Servillo? Magnifico ma ormai non lo riconosco più, per me è rimasto intrappolato in Jep Gambardella. Grandissima sintonia con il regista ma: stessa spiaggia stesso mare. Squadra che vince e che vende, non si cambia.
Non aspettate il 15 dicembre per vederlo, andate al cinema. Questo film, la vostra migliore attenzione, se la merita tutta.
Ora attenzione, da questo punto in poi potrei fare spoiler quindi, se non volete correre il rischio di rovinarvi la sorpresa, fermatevi qui.
Non è un film su Maradona e sul Napoli. Il pibe è solo preso in prestito per mettere in evidenza gli anni in cui si svolge l’azione. Poteva bastare la S.S.C. Napoli ma in quegli anni c’era Maradona è quindi il gioco è tutto suo. Se vi aspettate una celebrazione del genio calcistico di Diego siete fuori strada. Che poi non ho capito una cosa: al maestro Fellini il nostro riserva l’aura della impalpabilità, dello spirito etereo, di quello che c’è ma non si vede, al massimo si ode una vocina da dietro porta. Con Diego, si concede l’ardire della messa in scena con la solita controfigura brutta e con l’aggravante che lo riprende mentre si allena a tirare le sacre punizioni. Roba da urlare al sacrilegio. Ma non era meglio chiedere a Minà un bel filmato di repertorio che di sicuro lo tiene nascosto in un cassetto?
La panoramica dei titoli di testa crea inesorabilmente un legame con “La Grande Bellezza”. Bellissima, sublime ma l’avrei evitata. Ne avrebbe guadagnato il carattere del film.
Il nudo sfacciato ed integrale della Ranieri nulla aggiunge e nulla mette, è solo marketing. Il legame tra zia e nipote viene raccontato con toni molto delicati e efficaci, non era necessario. Sono curioso di vedere se sarà presente anche nel montaggio destinato allo streaming casalingo.
Se siete napoletani, magari anche vomeresi, e ricordate i caroselli della notte in cui fu dato l’annuncio della scesa di D10s a Napoli e magari siete anche tifosi sfegatati, sarete presi da vampate di piacevole nostalgia: godiamocela. La ricostruzione delle immagini di quegli anni gloriosi è minuziosa, ho riconosciuto le case, gli arredi, i vestiti di mia madre e le acconciature vaporose delle ragazze. Le orribili magliettine e le giacche a vento della Ellesse, di gran moda in quegli anni, che si compravano a poco prezzo da S.G.A. (questa la colgono solo i vomeresi d.o.c. N.d.r.) chi sa da dove le hanno recuperate?
Ho trovato banale e ruffiano piazzare il più banale Pino Daniele sui titoli di coda. Va be’, andate a vederlo e sappiatemi dire la vostra opinione. Questo è un film che andava fatto di sola pancia, troppe volte mi sembra strizzare l’occhio al mercato. Date allo spettatore quello che si aspetta e vai di carrellata.
Ad ogni modo, tutte le cose che mi hanno infastidito non bastano a smontare un film che rimane bello assai e da godere nella sua unicità. Se non avete visto tutti gli altri film di Sorrentino, non fatelo ora. Godetevi prima la mano di Paolo e poi magari vi levate la curiosità.